Le faglie attive dal Gran Sasso ai monti di Cassino

Parla Walter Mazzocchi, INGV

08 Ottobre 2009   16:07  

AGGIORNATO

Il professor Warner Marzocchi (Ingv): "La zona di Cassino è quella più preoccupante: la crisi sismica in atto è particolarmente attiva". Ecco le venti super-faglie attive nell'Italia centrale.

Viaggio nei terremoti preistorici sul tetto degli Appennini: quattro cataclismi fortemente energetici negli ultimi 20 mila anni. Gli scienziati invitano a considerare le faglie-madri come strutture attive primarie, responsabili di terremoti di magnitudo superiore a 6.5° Richter.

Tuttavia le faglie quaternarie come quelle del Gran Sasso, dei Monti della Laga e dei Monti Gemelli, possono istantaneamente rilasciare energie centinaia di volte più forti del terremoto 6.3° di L'Aquila. Inventario delle faglie attive e dei terremoti ad esse associabili. L'orogenesi appenninica continua.

Il G10 dei sismologi a L'Aquila:"Procedere verso una previsione probabilistica con rotture basate su faglie, del tipo dei modelli di pericolosità sismica per il Giappone e gli Stati Uniti, potrebbe migliorare la previsione probabilistica indipendente dal tempo".

 

(di Nicola Facciolini)

 

Da alcuni giorni il Frusinate è interessato da una serie di terremoti di bassa energia. Grazie anche all'assidua collaborazione della popolazione locale, l'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia sta monitorando gli effetti prodotti dagli eventi sismici avvenuti nelle ultime ore. L'Ingv informa che al "link": http://www.haisentitoilterremoto.it/index.php?page=list tutti possono consultare le mappe dei risentimenti macrosismici, prodotte in tempo reale elaborando le segnalazioni pervenute. I terremoti sono stati chiaramente avvertiti fino ad una distanza media di circa 40 km dai rispettivi epicentri. L'intensità massima (magnitudo 3.5) rilevata è pari al V grado della scala Mercalli. L'attività sismica nel Cassinate preoccupa l'Ingv. Il professor Warner Marzocchi (Ingv) rivela che "la zona di Cassino è quella più preoccupante. Nel passato ci sono stati forti terremoti e la crisi sismica in atto è particolarmente attiva". La probabilità di terremoti di alta energia è certamente aumentata in quell'area anche se i valori assoluti rimangono bassi. Il rischio è aumentato ma mi aspetto che sequenze di questo tipo finiscano la maggior parte delle volte senza terremoti grandi. Per cui non si può dare una certezza su quello che può accadere. Il fatto che ci siano tanti terremoti dall'Umbria al Lazio e in Abruzzo, è una conseguenza normale della perturbazione creata dal terremoto di L'Aquila. Se le case sono ben costruite non c'è pericolo di sorta, né per Cassino né per altre aree". La forte attività sismica nell'oceano Pacifico vi preoccupa? "Non sono preoccupato. E' già successo spesso nel passato".

Vale la pena dare un'occhiata alle super-faglie attive nell'Italia centrale, la prova che l'orogenesi appenninica continua sotto i nostri occhi, nonostante l'enorme divario tra tempo geologico, tempo umano e istantaneità del terremoto. Tutto quello che può essere mostrato, è contenuto nella Carta degli allineamenti di faglie quaternarie rilevanti dal punto di vista sismogenetico (dorsale appenninica umbro-marchigiana ed abruzzese), redatta anni fa dall'Università di Chieti (P. Boncio, F. Brozzetti e G. Lavecchia), dall'Istituto di Ricerca sulla Tettonica Recente del Cnr (F. Galadini, P. Messina) e dal Servizio Sismico Nazionale (P. Galli). La Carta è chiarissima così come la lista delle mega-faglie. Nel ringraziare gli Autori, precisiamo subito che si tratta di studi in costante aggiornamento e che la divulgazione scientifica ha il giusto fine di informare correttamente i cittadini sui fenomeni naturali, per far capire bene a tutti che la Natura il più delle volte non uccide l'uomo anche se è ingovernabile e imprevedibile. Possiamo solo anticiparla con la prevenzione e la conoscenza del territorio in cui viviamo. La Carta è stata elaborata sulla base di dati geologico-strutturali, di superficie e profondi, integrati con dati geomorfologici, morfotettonici, paleosismologici e sismologici di letteratura. "Sono evidenziati - si legge nello studio - i sistemi distensivi ovest-immergenti con evidenze geologiche di attività quaternaria e con rilevante ruolo sismogenetico. Ogni allineamento (fault system regionale) è costituito da master faults (faglie madri) continue per alcune decine di chilometri in profondità. Le master faults rappresentate nella carta sono definite dagli studiosi "sismogenetiche" perché associabili a terremoti strumentali, storici o paleo sismi. Indicazioni sulla profondità delle master faults vengono da dati sismologici e di sismica a riflessione. E' possibile stimare profondità sismogenetiche di circa 6 Km per la struttura di Gubbio, 8 Km per Colfiorito, 6-7 Km per la struttura di S. Martino - M. Civitella, circa 11 Km per le strutture di Preci - F. d'Ancarano e Nottoria - M. Pizzuto, circa 12-13 Km per le strutture di M. San Vicino e M. Bove - M. Vettore. Le profondità sismogenetiche raggiungono, invece, i 13-14 Km in corrispondenza delle strutture di M. Gorzano - Campotosto, di Montereale, della Val di Sangro e di Barrea-Castelnuovo a Volturno. La figura propone geometrie di faglie ad attività riferibile al Pleistocene superiore-Olocene, in base all'identificazione di dislocazioni di depositi e/o forme relativi a quell'intervallo temporale". Secondo gli studiosi "le faglie vanno considerate come strutture attive primarie, responsabili di terremoti di magnitudo superiore a 6.5° della scala Richter". Tuttavia le faglie quaternarie come quelle del Gran Sasso, dei Monti della Laga e dei Monti Gemelli, possono istantaneamente rilasciare energie centinaia di volte più forti del terremoto 6.3° di L'Aquila. Negli anni libri e volumi sono e saranno dedicati a tali ricerche sull'Italia centrale, per la definizione di uno schema di strutture responsabili dei terremoti maggiori e dei relativi parametri per un settore compreso tra Gubbio e il Cassinate. "La parametrizzazione delle faglie individuate è evidente. Sono state analizzate anche altre strutture ancora oggetto di studio". La letteratura evidenzia la necessità di rappresentare in maniera non omogenea gli elementi strutturali. "A parte i casi preponderanti di faglie con chiare evidenze superficiali di attività riferibile al Pleistocene superiore-Olocene (colore rosso), gli studiosi riportano con colore celeste la faglia di Gubbio la cui discriminazione, a fronte della carenza di dati di superficie, viene dall'associazione della faglia stessa al terremoto del 1984. Con il colore giallo sono state riportate la faglie di Leonessa e della Valle del Salto, per le quali la letteratura ha evidenziato la mancanza di consenso sull'attività nel corso del Pleistocene superiore-Olocene. Con il colore rosa sono infine stati evidenziati elementi strutturali fragili di incerta interpretazione come: una faglia nell'area di Sora sulle cui caratteristiche geometriche e cinematiche non si hanno dati conclusivi; la rottura cosismica osservata a seguito del terremoto del 14 ottobre 1997 tra Renaro e Mevale (la cui origine non è stata ancora determinata); la faglia nell'area di Gualdo Tadino, la cui identificazione, a fronte di una espressione superficiale di incerta definizione, è basata in parte su dati di sottosuolo e in parte su ipotesi cinematiche regionali. Nei settori abruzzese e umbro-meridionale le evidenze superficiali di attività nel corso del Pleistocene superiore-Olocene sono decisamente maggiori che nel settore a Nord dell'area nursina. Verso Nord diminuisce sensibilmente il numero di faglie riportate. Infatti, mentre nel settore abruzzese sono chiaramente riconoscibili almeno due sistemi di faglie attive, a Nord di Norcia i dati geologici disponibili non consentono di definire più di un sistema con direzione NW-SE. Questa differenza può essere sintomatica di lacune conoscitive, oppure di caratteristiche diverse dell'espressione superficiale dell'attività tettonica recente nei differenti settori". Allora, siamo davvero convinti che sia tutto finito? Conosciamo, forse, i quattro grandi terremoti preistorici quando non si staccarono soltanto pezzi dal massiccio del Gran Sasso? Quali sono i limiti della paleosismologia nelle nostre terre? E' possibile rimontare la scena di un terremoto preistorico in Abruzzo di grande magnitudo?

La Commissione di geoscienziati provenienti da Cina, Francia, Germania, Giappone, Grecia, Italia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti, con una vasta esperienza nella previsione probabilistica e nella predizione deterministica dei terremoti, il 2 Ottobre 2009 a L'Aquila, ha tra l'altro riferito nelle proprie "Risultanze e Raccomandazioni" indirizzate alla Protezione civile quanto segue: "Per l'Italia, la previsione probabilistica dei terremoti indipendente dal tempo, che è stata pubblicata nel 2004, aveva identificato la regione de L'Aquila tra quelle con il più alto potenziale di scuotimento atteso del suolo. In terremoti recenti, alcune aree hanno sperimentato uno scuotimento del suolo più alto di quello atteso, specialmente nei pressi della faglia e in specifici siti le cui caratteristiche geologiche e dei suoli hanno amplificato il movimento del terreno, forse perché l'attuale mappa italiana di pericolosità non include né gli effetti di amplificazione locale né gli effetti di propagazione delle onde sismiche vicino alla faglia. Inoltre, l'attuale mappa di pericolosità sismica d'Italia si basa su sorgenti sismiche distribuite in volumi sismogenici, piuttosto che su sorgenti assegnate a faglie cartografate. Procedere verso una previsione probabilistica con rotture basate su faglie, del tipo dei modelli di pericolosità sismica per il Giappone e gli Stati Uniti, potrebbe migliorare la previsione probabilistica indipendente dal tempo. Tuttavia, la complessità tettonica dell'Italia rende molto difficile un'enumerazione completa di singole faglie. Le ricerche in corso su rappresentazioni di 'sistemi di faglie' che aggregano faglie individuali in volumi sorgente appaiono essere un passaggio intermedio credibile. Una classe di modelli a lungo termine tiene conto in qualche modo di una memoria a lungo termine degli eventi passati, che rende la probabilità dei terremoti dipendente dal tempo. Ad esempio, dopo un terremoto su un segmento di faglia, un altro terremoto su quel segmento può essere meno probabile fino a che non sia passato un lasso di tempo tale da permettere una ricarica degli sforzi sufficiente per un'altra rottura. A causa della complessità tettonica italiana, questo tipo di modello renewal è difficile da applicare e rimane in fase di ricerca. Una seconda classe di modelli dipendenti dal tempo si basa sul raggruppamento spazio-temporale a lungo termine dei terremoti osservati nei cataloghi storici. Un'incertezza fondamentale nella previsione probabilistica a lungo termine dei terremoti è il breve intervallo di campionamento disponibile in base ai cataloghi della sismicità strumentale e storica. Anche se l'Italia ha una lunga testimonianza storica per i terremoti, gli intervalli di ricorrenza sono ancora altamente incerti. L'attività di terreno per l'identificazione delle faglie attive, dei loro ratei di scorrimento e dei tempi di ricorrenza è dunque necessaria". Con la seguente Raccomandazione: il Dipartimento della Protezione civile "dovrebbe continuare ad orientare i suoi programmi di ricerca verso lo sviluppo di modelli di previsione probabilistica indipendenti e dipendenti dal tempo con l'obiettivo di migliorare le mappe di pericolosità sismica di lungo termine che siano orientate in senso operativo".

Gli scienziati sanno che le faglie abruzzesi sono "speciali": andrebbe indagata a fondo la loro genesi e natura. Ci possono aiutare anche gli alberi: studiando la regolare decrescita dell'ampiezza degli anelli, gli eventi preistorici possono essere datati con precisione, grazie all'analisi degli anelli di crescita annuale di alberi fossili che hanno subito in vita i moti violenti del terremoto. Sul Gran Sasso, abbiamo informazioni sul campo degli sforzi in atto nelle quattro famose scarpate, distanti tra loro meno di 7 chilometri, formatesi per movimenti istantanei in quattro importanti eventi sismici, tra 11 e 18 mila anni fa? Sappiamo già (Chracas, AD 1704; Baglivi, AD 1705) che 306 anni fa, durante la terribile crisi sismica localizzata tra Norcia e L'Aquila (le scosse epicentrali di gennaio-febbraio 1703 raggiunsero livelli di danno dell'XI° della scala mercalli, e sul Gran Sasso dell'VIII-IX°), si aprirono fessure sul Corno Grande. Scosse successive fecero cadere una delle sommità del monte, con frane e crolli causati dai forti scuotimenti prodotti non da fagliazioni superficiali. Uno scenario ben più disastroso di quello offerto dai pur impressionanti fenomeni gravitativi di crollo di massi dal "Paretone" nel 1897 e nel 2007. I tre terremoti preistorici nel Gran Sasso furono ben peggiori. Per produrre le scarpate di faglia che si osservano sul Re degli Appennini, gli scienziati sanno che fu necessario in superficie uno scuotimento molto maggiore di quello massimo ipotizzabile per la zona in base ai dati della sismicità storica (Giraudi, 1989). Un terremoto con tempi di ritorno lunghi anche a memoria di civiltà, distruttivo, che, possiamo immaginare, terrorizzò "l'uomo preistorico del Paleolitico superiore, in cerca di selvaggina nelle zone più interne ed elevate del massiccio del Gran Sasso (dal volume Il Gigante di Pietra, del geologo teramano Leo Adamoli, AD 2002), come testimoniano i numerosi manufatti litici riferibili a più orizzonti culturali, rinvenuti nei depositi continentali pleistocenici dell'altopiano di Campo Imperatore". C'è ancora molto da scoprire. L'orogenesi appenninica continua.

Non vi può essere un'efficace azione di prevenzione del rischio idrogeologico e sismico, senza condivisione e partecipazione tra scienziati, giornalisti, politici, amministratori, naturalisti, volontari e semplici cittadini. Giustamente il sistema integrato del Gran Sasso d'Italia è stato definito "vero e proprio monumento naturale di pietra". La nostra montagna merita di essere inserita tra le meraviglie della Terra ed ha tutti i titoli per essere immortalata quale autentico patrimonio dell'umanità. Il massiccio del Gran Sasso, il Re degli Appennini, l'ex "Gigante che dorme", il tetto della dorsale appenninica, insieme ai Monti della Laga ed ai Monti Gemelli, ci consente "di imparare a leggere negli strati rocciosi, nei sedimenti, nei resti fossili e nelle forme naturali" (Il Gigante di Pietra) del nostro territorio, le prove di un'affascinante e spesso drammatica storia geologica iniziata 223 milioni di anni fa, da un fondale lacustre. E tuttora in atto nell'apparente dilemma tra il silenzio degli abissi e le spaventose energie istantanee che le "radici" della montagna sono in grado di liberare. Il tempo geologico è infinitamente lungo rispetto al nostro di esseri umani. Il respiro lento ma incessante della Terra ci avvolge. Il tempo passa, le generazioni si rinnovano, la montagna e la vita che essa ospita sembrano immutabili. L'Uomo è stato creato da Dio per "dominare" la Natura, cioè per essere il saggio "custode", il cosciente interprete, non il rassegnato testimone diretto o indiretto delle tragedie naturali a volte inevitabili. Un giorno raggiungeremo le lontane stelle, forse standocene comodamente seduti in una speciale astronave ferma-tempo, ma non potremo mai impedire ad un vulcano di sorgere in superficie apparentemente dal nulla e di eruttare dove vuole; né potremo impedire alla crosta terrestre di spaccarsi dove vuole, liberando energie distruttive, o ai continenti di muoversi con poderosi scatti istantanei; né potremo impedire alle montagne come il Gran Sasso e i Monti della Laga, di continuare a crescere e morire per far posto a laghi, oceani, deserti, vulcani, ad altre catene montuose che oggi neppure possiamo immaginare.

La Terra ci è stata data in affitto per un certo tempo, non per sempre. Un giorno potremmo essere tutti letteralmente sotto sfratto! E spesso lo dimentichiamo. Siamo ospiti, non padroni. Prima, durante e dopo l'Umanità, la Natura continuerà a modellare la superficie terrestre secondo regole prestabilite, molte delle quali ci sono ancora ignote, finché splenderà il Sole. E così difficile tornare ad abitare la montagna con fiducia, consapevoli delle sue ricchezze e dei suoi insegnamenti che nei secoli hanno dato la vita ai nostri antenati?

Il Gran Sasso è stato immortalato in libri, resoconti, diari, lettere, poesie e trattati scientifici di esploratori, pionieri, cacciatori, ricercatori, poeti e semplici montanari. La bibliografia storica, dall'antichità classica fino ai nostri giorni, è ricchissima. Oggi abbiamo dimenticato la lezione, offendendo il nostro territorio con l'ignoranza, l'interesse egoistico, la partigianeria politica, il tradimento della parola data (un tempo sacra) e l'indifferenza reciproca. Ma la Natura può fare benissimo a meno di tutti noi per continuare ad esistere. Molti dimenticano che un ruolo determinante nel controllare l'evoluzione strutturale della catena del Gran Sasso d'Italia, hanno sicuramente avuto le preesistenti faglie distensive giurassiche (al tempo dei dinosauri!), "responsabili delle differenziazioni paleogeografiche mesozoiche, la cui riattivazione si è manifestata sia con le medesime direzioni di movimento che in modo opposto". Poco meno di 2 milioni di anni fa, la regione del "Gran Sasso e dei Monti della Laga cominciò ad essere sottoposta ad un'intesa tettonica distensiva associata al sollevamento che disarticolò le strutture compressive e generò, lungo sistemi di faglie dirette, vaste depressioni tettoniche quali quelle di Campotosto-Amatrice e di Campo Imperatore". Le dorsali raggiunsero le quote attuali "e i lineamenti orografici del Gran Sasso, dei Monti della Laga e dei Monti Gemelli erano già sostanzialmente acquisiti". L'attività tettonica è continuata fino ai nostri giorni "come testimoniano le faglie attive presenti sul Gran Sasso. Nelle zone di Solagne, Valle del Venacquaro, Val Maone e Campo Pericoli, i paleosismologi hanno evidenziato, lungo la faglia distensiva che borda a meridione il tratto di catena Monte Corvo-Pizzo d'Intermesoli-Corno Grande (faglia delle Tre Selle, diretta, quaternaria, di notevole sviluppo longitudinale, a forte rigetto: ha dato luogo al caratteristico allineamento), la presenza di tracce di almeno quattro importanti eventi sismici che negli ultimi 18mila anni hanno dislocato i depositi glaciali ed alluvionali del Pleistocene superiore-Olocene, producendo scarpate di faglia alte anche 2-3 metri". Come dire che sul massiccio del Gran Sasso sono possibili "terremoti di elevata energia con epicentro locale", anche se con tempi di ritorno di 2-3.000 anni. Ossia la "riattivazioni della faglia delle Tre Selle e di altre faglie attive". Che l'orogenesi appenninica non sia mai terminata, ma che continui anche ai giorni nostri, lo prova altresì l'anomalia carsica sul Gran Sasso: nonostante "la grande diffusione di rocce carbonatiche stratificate e fratturate" abbia favorito lo sviluppo notevole delle tipiche morfologie carsiche in superficie, nonostante alcune bellissime eccezioni (come la grotta Amare in Assergi, tutta la esplorare e studiare!), "il carsismo ipogeo non sembra molto diffuso e le cavità raggiungono generalmente dimensioni modeste. Poche le cavità carsiche sotterranee ubicate in varie zone del massiccio del Gran Sasso". Un'anomalia che fa pensare. Dove sono i sistemi carsici ipogei in un territorio che ospita diffuse forme carsiche superficiali? Probabilmente la spiegazione di tale anomalia "va ricercata nell'azione inibitrice della neotettonica sulla carnificazione. I movimenti recenti lungo faglie attive, piuttosto frequenti sulla catena del Gran Sasso, potrebbero infatti avere rallentato e disorganizzato la circolazione idrica profonda". E che dire degli estesi e spessi depositi di minerali vulcanici (tufiti) a Sud-est di Castelvecchio Calvisio? Per i tufi "sedimentatisi in un ambiente di tipo lacustre-palustre, è stata ipotizzata una provenienza locale": i clasti vulcanici sarebbero venuti in superficie "attraverso un centro di emissione locale non ancora localizzato, attivo nel Pleistocene media e legato a discontinuità profonde". I sistemi di faglie dirette lungo l'Appennino, inoltre, sono zone a maggiore permeabilità e quindi a maggiore drenaggio delle acque meteoriche. Dunque, non è stata scritta ancora l'ultima pagina della storia geologica di queste montagne. Quando verrà scritta istantaneamente la prossima pagina della storia geologica del Gran Sasso e dei Monti della Laga? Gli scienziati, allo stato attuale delle conoscenze, dubitano che i terremoti che avverranno in futuro sul Gran Sasso e sui Monti della Laga ed altrove sugli Appennini, saranno molto diversi da quelli avvenuti nel passato. "E' molto raro che avremo terremoti più grandi di magnitudo 7 - precisa il prof. Marzocchi - tutto è possibile, ma non rilevante. Quello che conta è chi produce i 
terremoti. Posso immaginare un'unica faglia ad "n" profondità per tutto l'Appennino 
che però non produce terremoti (le ragioni fisiche possono essere molte). Storicamente i terremoti sono sempre stati non più grandi di gradi 7. E immagino che continui così".

 


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